
Come coltivare la soia e deforestare il pianeta
Coltivare la soia è una delle attività a più forte impatto per l'ambiente: deforestazione, gas serra e impoverimento del suolo sono solo alcune tra le conseguenze.
31 dicembre 2020 • 5 minutiIndice
Come coltivare la soia per un mercato in espansione
Immaginiamo di moltiplicare per quattro volte l’intera Italia, isole comprese. Queste sono all’incirca le dimensioni delle coltivazioni di soia a livello globale, pari a circa 120 milioni di ettari, e si sta ancora crescendo. Negli ultimi venticinque anni c’è stato un balzo in avanti importantissimo nella deforestazione per fare spazio all’esigente soia. La produzione a livello globale sfiora i 400 milioni di tonnellate annuali.
Ma come siamo arrivati a questo punto? Andiamo con ordine.
Dove si coltiva la soia?
La storia della soia inizia circa 5500 anni fa nell’estremo oriente dell’Asia. In alcune regioni tra gli odierni Giappone, Cina e Corea del Sud alcuni gruppi umani impararono a coltivarla e a sfruttare questo legume per la loro alimentazione.
Oggi i più grandi produttori globali di soia sono ben lontani da quei centri originari. Verso la fine del XVII secolo era coltivata in Europa solo a fini ornamentali, ma da allora è stata fatta molta strada.
- Brasile: è il principale Paese in cui si coltiva la soia, con circa 125 milioni di tonnellate prodotte nel 2020. A partire dagli anni ‘90 si è registrata una crescita quasi verticale della produzione, a causa del disboscamento spesso illegale di aree dell’Amazzonia o della regione del Cerrado;
- Stati Uniti: fino al 2018 sembravano guidare incondizionatamente la classifica, per giocarsi ad anni alterni il primo posto con il Brasile. La produzione stimata per l’annata 2019/2020 è intorno ai 100 milioni di tonnellate;
- Argentina: nell’ultimo anno la sua produzione si è attestata sulle 50 milioni di tonnellate;
- Cina: la terra di provenienza della soia si aggiudica solo il quarto posto con circa 15 milioni di tonnellate, ma resta uno dei più grandi importatori davanti solo all’Europa.
L’Europa si trova ben al di sotto di queste cifre. Basti pensare che l’Italia è il maggiore produttore europeo di soia con 1 milione di tonnellate all’anno. Cifre irrisorie, ma che spiegano bene la dipendenza del vecchio continente dal mercato globale.
Perché si coltiva così tanta soia?
Sorge spontaneo chiedersi perché sia così importante oggi coltivare la soia con questa intensità. La risposta è al tempo stesso semplice ma molto complessa.
Essenzialmente, la maggior parte della soia che viene prodotta è destinata ad essere trasformata in mangime per animali. Si calcola che circa un terzo delle terre coltivate al mondo serva per crescere un miliardo di tonnellate in mangimi. In particolare, la soia ha un alto contenuto in proteine, utili per la crescita del bestiame. Bovini, suini e pollame consumano ogni giorno una quantità impressionante di questo legume, per trasformarlo nella carne che portiamo in tavola.
Bisogna anche tenere conto del fatto che per ogni chilo di prodotto finito c’è bisogno di un’area estesa messa a coltivazione, pari a circa 10,5 mq per un chilo di olio di soia.
Va da sé che per soddisfare le necessità di un mercato globale sempre più affamato di carne c’è bisogno di accrescere la quantità di mangimi disponibili, e di conseguenza la superficie di terreno messa a coltura.
Soia ogm in tavola
Nel 1996 la multinazionale Monsanto ha introdotto una varietà di soia geneticamente modificata per resistere ad un ampio spettro di erbicidi pesticidi. Da quel momento le coltivazioni hanno visto un incremento esponenziale. Questa varietà di soia permette di impiegare meccanismi di contrasto alle specie invasive che risulterebbero altamente nocive per altre coltivazioni.
Facciamo un esempio. A fine settembre 2020 la Commissione Europea ha approvato l’importazione e commercializzazione di una tipologia di soia prodotta da Monsanto-Bayer e impiegata per alimenti e mangimi. Questa varietà è resistente a tre tra gli erbicidi più potenti sul mercato: glifosato, Dicamba e Glufosinate Ammonio (l’uso di quest’ultimo è vietato dalla stessa UE). Quindi, se in altre coltivazioni venisse usato uno di questi tre prodotti per contrastare le specie invasive, ne risentirebbe anche la produzione. La soia MON 87708 x MON 89788 x A5547-127 (questo il suo nome), al contrario, non batterebbe ciglio e continuerebbe tranquillamente a crescere e prosperare.
Larghissima parte della soia sul mercato è ogm. Le coltivazioni biologiche fanno fatica a farsi spazio su un mercato già quasi pienamente occupato dalle multinazionali.
Un mondo dipendente dalla soia
Oggi come oggi sarebbe impensabile fare a meno della soia. Il nostro modello di sviluppo socio-economico non può fare a meno di espandere le coltivazioni e deforestare per garantire i mangimi per numeri così alti di animali.
C’è di più, però. Perché coltivare la soia per le multinazionali significa rimuovere popolazioni dai loro territori per fare spazio alle coltivazioni intensive.
Muovere così tanta materia prima significa anche elevatissime emissioni di gas serra, altamente impattanti sul
Anche i Paesi e le realtà politiche più progressiste non riescono ancora a cercare delle alternative alla soia. Ritornando all’esempio dell’Unione Europea, si tratta del secondo importatore mondiale dopo la Cina: la domanda europea è soddisfatta al 95% dalle importazioni. Si stima che ogni persona europea consumi 61 kg di soia all’anno. Di questi, il 93% proviene dai mangimi destinati agli animali.
Insomma, con allevamenti che spingono la produzione a ritmi elevatissimi (ne abbiamo parlato qui), è molto difficile che a breve termine cambi qualcosa nel nostro approccio alla soia.
Bisogna però sempre ricordare che dietro a ogni baccello del nostro prezioso legume ci sono alberi abbattuti, terreni inquinati e gas serra emessi nell’atmosfera.