
Riconoscimento facciale dei maiali: quanta tecnologia c’è dietro una braciola
Circa la metà dei suini del mondo viene allevata in Cina. Alcune aziende stanno iniziando a impiegare il riconoscimento facciale dei maiali per ottimizzare la produzione, ma non sono metodi alla portata di tutti.
19 dicembre 2020 • 4 minutiCina e maiali in numeri
Numericamente parlando, la Cina è il più grande Paese al mondo per quanto riguarda l’allevamento di maiali. Si stima che più della metà della popolazione globale di suini viva in Cina, in stabilimenti che crescono di dimensioni di anno in anno. Solo a fine settembre 2020 si sono aperte le porte di uno dei più grandi allevamenti di sempre, capace di ospitare fino a 84.000 scrofe con la loro prole. L’obiettivo è arrivare a produrre 2,1 milioni di maiali ogni anno.
Produrre è la parola giusta, perché gli stabilimenti di più grandi dimensioni si trovano spesso in zone industriali o recuperano complessi di vecchie fabbriche riconvertendole. I metodi, poi, sono quelli della produzione industriale massificata: investimenti in strutture e materie prime, lavorazione (che qui si traduce con la crescita degli esemplari), e infine vendita.
Circa il 56% della produzione di carne cinese è coperto dall’allevamento di maiali. Del resto nella cucina tradizionale è un tipo di alimento molto ricorrente. Si stima che il consumo pro capite di carne di maiale in Cina sia intorno ai 30 chilogrammi, e si tratta di un dato in aumento dal 2013. Solo nel 2019, con un’inversione di tendenza, il Paese asiatico ha dovuto importare due milioni di tonnellate di carne dall’estero a causa di una decrescita nella produzione.
A fronte di una domanda in crescita da parte di una popolazione di per sé consistente, gli impianti di allevamento intensivo si ritagliano sempre più spazio nella Cina rurale, in particolare nel nord-est del Paese. Ma ci sono dei rischi.
La peste suina africana
Una delle cause della minore produzione negli ultimi due anni è la peste suina africana. Originaria delle regioni sub-sahariane, si è diffusa ad ondate a partire dal 2007 toccando anche l’Unione Europea. L’attuale epidemia risale ormai al 2018, e si stima possa durare ancora 4 o 5 anni, costringendo la Cina a continuare a importare.
Com’è facile immaginare, le condizioni di affollamento in cui spesso vivono gli animali permettono una rapidissima espansione del contagio e delle morti. C’è però da tenere in conto che i grandi allevatori spesso riescono a contrastare le infezioni e a sopravvivere economicamente, mentre ciò non accade per i piccoli impianti, che vedono crollare di colpo le loro produzioni. L’unico aspetto positivo in questa vicenda è che da qualche anno la comunità scientifica internazionale ha sviluppato dei test efficaci per il riconoscimento della malattia. Del resto, questa può essere diagnosticata anche da alcuni sintomi come febbre, perdita di appetito, mancanza di energia, aborti, emorragie o addirittura morte improvvisa. Ed è qui che entra in gioco la tecnologia.
Il riconoscimento facciale dei maiali
Da qualche tempo a questa parte ha iniziato ad essere introdotto un nuovo sistema di allevamento automatizzato basato su software di riconoscimento facciale dei maiali. Gli animali in questo modo vengono monitorati, identificati e talvolta persino nutriti. Ma andiamo con ordine.
The Guardian in un recente articolo cerca di fare il punto sulle tecnologie applicate all’allevamento intensivo in Cina. Potenzialmente questo sistema è più economico e generalmente più efficace, e i primi risultati si sono visti già nel 2018, anno dell’arrivo della peste suina africana. Addirittura, secondo alcuni studi, l’impiego del riconoscimento facciale permette di migliorare il benessere generale degli animali.
Verrebbe spontaneo chiedersi perché proprio il riconoscimento facciale. Esistono molti altri sistemi adatti a grandi allevamenti e più “convenzionali”. Talvolta si usano strumenti per misurare temperatura e pulsazioni per monitorare lo stato di salute degli animali. Con il riconoscimento facciale si riesce ad andare ancora un po’ oltre.
I maiali sono altamente espressivi, e monitorandoli dalla nascita fino alla macellazione è possibile costruire giganteschi database sui loro comportamenti e sui tassi di crescita. Quando un esemplare è malato o manifesta disturbi, il software avverte l’allevatore tramite una pratica app, e ciò permette un intervento immediato. I dati sui tassi di crescita possono poi aiutare nel dosaggio dei mangimi, automatizzando anche i processi di distribuzione: in questo modo si può addirittura migliorare il gusto della carne. In generale, l’impatto sulla qualità della vita dei maiali è importante. Cessa, ad esempio, la necessità di etichettare le orecchie degli animali.
Dal punto di vista economico, vengono tagliati i costi per gli allevatori. Si riducono infatti gli sprechi di cibo, le spese veterinarie, i rischi di epidemie. In certi casi, una distribuzione del mangime ottimizzata si traduce in una diminuzione di due settimane del ciclo di crescita, che significa poter avviare in anticipo l’esemplare al macello.
Un futuro ancora da scrivere
Quello delle tecnologie applicate agli allevamenti è un futuro ancora tutto da scrivere. Nei prossimi tre anni si prospetta un impiego del riconoscimento facciale su circa 3 milioni di suini, in particolare nelle regioni del nord-est della Cina. È ancora presto, tuttavia, per fare valutazioni a lungo termine.
Ciò che sembra essere abbastanza certo è che i piccoli allevatori difficilmente potranno permettersi un adeguamento ai nuovi sistemi, che arrivano a costare anche centinaia di migliaia di dollari. La ricchezza continuerà a concentrarsi nelle mani di pochi grandi allevatori mentre decine di piccoli impianti saranno destinati a chiudere o ad essere riassorbiti. Colossi come Alibaba, Tencent hanno già iniziato a portare avanti i loro investimenti nel settore dell’allevamento suino.
È curioso, nel Paese che fino a un anno fa considerava Peppa Pig un’icona sovversiva.