La struttura dell'atomo - 4 passi verso la conoscenza moderna

Se pensate che la struttura dell'atomo sia quella di un pianeta potrebbero esserci sorprese.

23 agosto 20217 minuti

Indice

Di radiazioni, particelle o struttura dell’atomo si sente parlare di continuo: anche noi abbiamo accennato gli argomenti parlando di radioattività e stoccaggio.
Da parte mia, ricordo che sin dalle elementari immagini di bulbosi pianetini rossi e blu circondati da sferette gialle fossero estremamente affascinanti. Forse perché rispondevano ad una semplice domanda: quanto posso continuare a fare a fette la gomma sul mio banco?

Sono sicuro che tutti abbiamo maltrattato una gomma per cancellare almeno una volta nella vita, ma il punto è che l’interrogativo sulla struttura dell’atomo è tanto infantile (in generale, senza particolare accanimento sulle gomme) quanto difficile da affrontare. Questo perché, come sempre in fisica, non appena si raggiungono dimensioni molto diverse da quelle a cui materialmente siamo abituati (e non soltanto in piccolo) le cose si fanno strane. Molto strane.
E iniziano i mal di testa.

Struttura dell’atomo, passo 1: il panettone di Thomson

Torniamo indietro al 1897, anno della scoperta dell’elettrone da parte del fisico britannico J.J. Thomson. Corpi estremamente leggeri, gli elettroni, più di 1800 volte rispetto ad una singola particella di idrogeno, e carichi negativamente.
So che danno la scossa ogni tanto, ma non sono poi così male nonostante tutta la negatività (è solo questione di convenzioni).

Queste particelle sembravano provenire direttamente dall’apparecchiatura di Thomson, il quale ipotizzò che un atomo fosse composto da una distribuzione omogenea di carica positiva, sostanzialmente indivisibile, macchiata di tanti piccoli elettroni così da ottenere una struttura complessivamente neutra.

Da qui il panettone con l’uvetta che a tanti non piace.
La pasta è positiva, l’uvetta negativa (forse da qui arriva l’innata avversione di alcuni?). Un panettone molto piccolo, si intende, e dalla forma vagamente sferica, con un diametro attorno ai 100pm (un decimo di miliardesimo di metro).

È evidente però come questa idea di struttura dell’atomo sia ormai lontana dall’immaginario.

Struttura dell’atomo, passo 2: il pianeta di Rutherford

Uno degli esperimenti più importanti nella storia della fisica fu proprio la scoperta, da parte di E. Rutherford nel 1909, che in realtà la carica positiva si trovi concentrata in un volume estremamente più piccolo dell’atomo complessivo. È la scoperta del nucleo atomico, una sfera 100.000 volte più piccola dell’estensione dell’atomo.
Considerando poi anche la grandezza degli elettroni, può lasciare interdetti immaginare che i componenti fondamentali della materia siano in realtà praticamente vuoti.

Per dare un’idea, se un atomo avesse le dimensioni di un campo da calcio, con il nucleo al centro e un elettrone in porta, il nucleo non sarebbe più grande di un millimetro.

A questo punto, ecco il pianeta che tutti conosciamo, con il nucleo positivo al centro e gli elettroni che ruotano attorno per repulsione elettrostatica.
Puntualmente, l’identificazione dei componenti del nucleo (o nucleoni) seguì negli anni successivi: sono i protoni (1919) ed i neutroni (1932).

Il punto fondamentale del modello è che l’idea di paragonare la struttura dell’atomo ad un sistema planetario, ancora largamente diffusa, sia in realtà ingannevole, soprattutto quando associata alle immagini. Io stesso non ho potuto rappresentare il modello in scala (figura più in basso), ma confido che potrete guardare un campo da calcio con un occhio diverso.
Senza vedere alcun nucleo dagli spalti, però.

Struttura dell’atomo, passo 3: la quantizzazione di Bohr

Per evitare di andare a sbattere…

All’epoca della diffusione delle scoperta di Rutherford, fu immediatamente evidente che il modello planetario avesse un grande problema.
Gli elettroni in orbita attorno al nucleo erano un’analogia affascinante con il cosmo e tuttavia presentavano una carica netta, a differenza dei pianeti. Stando alle leggi dell’elettrodinamica, un corpo carico sottoposto ad un’accelerazione (centrifuga in questo caso) perde gradualmente energia sotto forma di radiazioni: luce, in particolare, non necessariamente nello spettro visibile.

Insomma, gli elettroni non avrebbero dovuto essere dei fenomeni in curva, al punto da doversi necessariamente schiantare contro il nucleo in una minuscola frazione di secondo.
Eppure, per qualche motivo questo non accade: la materia è stabile, o non ne staremmo parlando in questo momento.

Attribuire l’errore alle leggi dell’elettrodinamica, all’epoca ormai confermate da innumerevoli applicazioni e predizioni, sarebbe stato estremamente difficile. Vorrei ricordare che già nel 1905 A. Einstein aveva interpretato correttamente la duplice natura della luce, formata da particelle chiamate fotoni.

… basta restare in pista

Proprio associando questa dualità della luce, onda e particella, alle scoperte sulle emissioni dell’idrogeno, il fisico danese N. Bohr propose nel 1913 un nuovo modello.

Bohr costrinse gli elettroni a muoversi in pista, in modo che non potessero andare fuori strada: muovendosi su alcune orbite fisse gli elettroni non emettevano radiazioni, restando stabili al loro posto.
Queste orbite sono quantizzate, identificate da numeri interi e separate da spazi proibiti.

Struttura dell'atomo - modelli classici

Modelli classici di struttura dell'atomo (immagine a cura della redazione di Spazii

L’intuizione di Bohr si rivelò esatta negli anni successivi, ma non priva di problemi. Ancora mancavano spiegazioni e la soluzione pareva forzata, imposta ad hoc e banale quanto il sottotitolo “Per evitare di andare a sbattere basta restare in pista”.
Ovvio, o quasi.
Perché sulle orbite fisse gli elettroni non perdevano energia?
Perché si sarebbero dovuti comportare come onde, nonostante possedessero massa (a differenza dei fotoni)?
Perché il modello funzionava soltanto nel caso dell’idrogeno?

Le risposte risiedevano nella vera nascita della meccanica quantistica, nel decennio successivo.
Ed è qui che le cose si fanno ancora più strane, ma è l’ultimo sforzo.

Struttura dell’atomo, passo 4: gli orbitali di Schrödinger

Nel 1925, una strana equazione postulata dal fisico austriaco E. Schrödinger segnò la nascita ufficiale di una nuova teoria, che ancora oggi è la frontiera delle nostre conoscenze nel mondo del molto piccolo: la meccanica quantistica.

L’equazione era strana, perché si applicava proprio a quanti: oggetti in grado di comportarsi al contempo come un’onda e come una particella.
In più, le conseguenze della teoria sembravano potersi applicare a qualsiasi oggetto dotato di massa: paradossalmente persino ad una persona. Tuttavia, la natura di onda emerge soltanto per corpi molto leggeri.
Io non sarò una piuma, ma ho verificato che la mia lunghezza di oscillazione in movimento è ben inferiore a qualcosa che possa essere mai osservato (e non intendo soltanto ad occhio nudo).

L’equazione di Schrödinger, applicata invece a qualcosa di più significativo di una persona, come nel caso di un atomo, giustifica le intuizioni di Bohr: applicandosi ad una teoria dagli assiomi molto diversi dalla fisica classica usata da Bohr, semplicemente molti degli interrogativi non si pongono nemmeno. Ritorneremo sicuramente su alcuni di questi temi in uno dei prossimi appuntamenti della rubrica.

L’elettrone all’interno di un atomo si comporta come un’onda armonica, anche se questo è inizialmente difficile da immaginare. Prendete la corda di un violino, o ancora meglio le oscillazioni sulla superficie di un tamburo. Se il resto dell’oggetto non assorbisse le oscillazioni meccaniche, la vibrazione continuerebbe ad essere confinata sulla corda o sulla pelle battente del tamburo.
Allo stesso modo in cui uno strumento può emettere suoni diversi, così l’elettrone all’interno dell’atomo risuona con diversi modi di oscillazione. La forma probabilistica di questa funzione d’onda in tre dimensioni prende il nome di orbitale.

Gli orbitali, proprio come una vibrazione musicale, si deformano se sottoposti a sforzi o rilassamenti (quindi in generale se l’elettrone acquisisce o perde energia), restando tuttavia sempre all’interno dei modi di oscillazione concessi. Ed ecco la quantizzazione delle “orbite” predette da Bohr.
Soltanto se l’elettrone riceve o perde la giusta energia cambia il proprio modo di oscillazione, ignorando altre sollecitazioni.
Come sulla tastiera di un violino, posizioni sbagliate corrispondono a note stonate.

Ma l’elettrone dov’è? Dov’è la vera particella?
Questa è una risposta difficile, per chi non è familiare con le basi della meccanica quantistica. In generale, è ovunque l’onda stia oscillando. Solo nel momento in cui andiamo ad osservare il sistema l’elettrone si rivela in una posizione definita, seguendo una certa probabilità definita dalla soluzione della stessa equazione di Schrödinger.

Questi meccanismi possono sembrare alieni, ma è pur vero che il mondo dell’estremamente piccolo è davvero alieno per noi esseri che per prendere le misure usiamo il metro.
La natura tuttavia si ripete nei suoi schemi, proprio come nel caso degli elettroni e degli strumenti musicali: perciò, se la forma degli orbitali qui sotto ancora vi sembrasse strana, potreste provare a lanciare un sasso in un lago.

Struttura dell'atomo - orbitali

Spaccato dei primi orbitali dell'atomo di idrogeno (immagine a cura della redazione di Spazii)

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